Andrea Rauch
Con Lele Luzzati avevamo cominciato a conoscerci nel lontano 1981, quando ci si era incontrati per il centenario della scrittura di Pinocchio. In quell'occasione Lele, con Tonino Conte, aveva creato un fantastico Pinocchio bazar in cielo e in terra, che era stato uno degli eventi monstre della festa inaugurale del centenario.
Nella piazza di Pescia Lele e Tonino allestirono un Teatrino di Mangiafoco, un Pinocchio in ombra, fuochi d'artificio e giostre multicolori. Pinocchio fu, da quel momento, assoldato in pianta stabile nella “compagnia di giro” di Lele, insieme a Papageno, il mago Urluberlù, i Paladini di Francia e Candido, la Gazza Ladra e Cenerentola. E tutti gli altri, a cominciare da Pulcinella.
E Padre Ubu, naturalmente, che, proprio con Lele, ho cominciato ad amare, quando nel 1986 Lele e Tonino mi invitarono a disegnare il personaggio di Jarry in occasione della messa in scena, per la Tosse, di un Uburlesque che vide, tra gli altri, un ilare e scurrile Enrico Campanati nel ruolo della Madre. Poi, con Ubu, ho percorso un gran pezzo della mia strada, se è vero che, negli anni, ho finito per illustrare tutta la quadrilogia di Jarry, dal Re, all'incatenato, al cornuto, per finire sulla collina.
Le nostre strade, da quel primo incontro pinocchiesco del 1981, sono state sempre saldamente intrecciate, sia per le iniziative del Teatro Gioco Vita, per la grande mostra al Centre Pompidou dell'Associazione dei Teatri d'Europa (replicata poi tra l'altro a Roma, Palermo e Firenze), i tanti libri e cataloghi preparati per Nuages.
Nel 2004, quando fu chiamato a dipingere il drappellone per il Palio di Siena, ebbi la ventura e l'onore di presentare la sua opera ai contradaioli nella cerimonia pubblica che sempre precede la festa. Quando, con Aldo Colonetti, preparai, a Siena, la grande mostra di manifesti Epoca, chiesi a Lele uno dei suoi classici: Il rinoceronte di Jonesco, disegnato, nei primi anni sessanta per la Compagnia dei Quattro e messo in scena da Franco Enriquez. Me ne mandò due copie e rimasi senza fiato quando mi accorsi che uno dei due era il disegno originale, in formato 70x100, del manifesto. Lele aveva disegnato, per quella piece, manifesti differenti per tutte le tappe della tournée. La “mia” era quella che annunciava lo spettacolo al Teatro Mercadante di Napoli.
Era un disegnatore incredibilmente prolifico e cordiale. Velocissimo e entusiasta, disarmante per candore e astuzia. Una volta, si era forse nel 1998, ebbi a telefonargli per chiedergli un’illustrazione del Barone rampante di Calvino, che mi serviva per illustrare l’articolo di una rivista. Lele mi disse che in realtà non aveva mai disegnato il Barone ma solo Il Visconte dimezzato. Gli spiegai allora a cosa mi serviva il disegno (in bianco e nero, niente di complesso) e continuammo a parlare qualche minuto di non ricordo più cosa. Non appena riabbassai il telefono partì immediatamente il fax. Era il disegno del Barone sull’albero che avevo appena chiesto. Lele lo aveva disegnato a penna mentre stavamo parlando.
Per un famoso Sogno d'estate messo in scena nel 1971 dal Teatro della Rocca, con la regia di Egisto Marcucci, gli amori intrecciati di Oberon e Titania, di Lisandro e Demetrio, Ermia e Elena, le magiche beffe di Puck, vennero ambientati in un castello di vecchi banchi di scuola di legno dipinti di bianco. Un grande telone verde copriva i banchi; le teste e le mani degli attori uscivano dalla stoffa a mimare il folto della magica foresta d’Atene. Una scena complessa e ricchissima risolta tutta con un colpo d'intelligenza modesta e grandiosa, capace di ricreare con nulla il grande teatro elisabettiano. Grande, grandissimo Lele, che aveva insegnato a tutti a guardare un dito e a vedervi la luna.
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