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Del perenne incantamento, due poveri pensieri su Emanuele Luzzati

Gianni Nuti

Quindici anni fa ebbi l’onore di vedere impreziosito con le illustrazioni di Emanuele Luzzati un mio libello dedicato ai genitori di bimbi appena nati, affinché trovassero il modo di parlarsi, da subito, con la musica. L’amicizia tra l’artista genovese e il compianto Assessore alla cultura del Comune di Torino Fiorenzo Alfieri facilitò l’affare, gratuito per entrambi ancorché ispirato da sentimenti autentici e perciò ricco di molto d’altro: idee, fantasie, pensieri sull’umanità e sulla bellezza di quel che siamo chiamati a vivere, nonostante tutto.

Tra le pieghe di un silenzio profondo, abitato da un atteggiamento di ascolto vigile, acuto e generoso ricevetti allora da Emanuele, in quel breve lasso di tempo, semplici frasi di comunione, le cui risonanze sono rimbalzate tra noi e le pareti vibranti di disegni, parole, musica in modo armonioso e pacifico, si sono sedimentate nella memoria, senza possibilità di cancellazione.

Armonia e pace sono le quinte dentro le quali l’opera di Luzzati va in scena per decenni, perché i suoi personaggi sfidano le leggi della gravità, delle proporzioni e dei moti allontanandosi dalla realtà visibile per rivelarla, stupefacente, ai miopi più irriducibili e ostinati. L’esito di queste continue rivelazioni di verità nascoste dietro l’immaginario fantastico è la totale assenza di energie violente, è l’assicurazione di quella proporzionalità naturalmente irregolare, imprecisa e dunque autentica che rende ogni particolare - apparentemente inutile - indispensabile per garantire equilibrio, per fissare tutto in un incanto.

È quella di Luzzati la rappresentazione solenne del valore di ogni differenza sghemba, appiccicata, strappata e accartocciata: l’umanità che ci pare vera è quella più povera e negletta, la stagione più persistente nell’esistenza è quella dell’infanzia fragile, incerta eppure ricchissima di possibilità di trasformazioni, di crescita, di rivelazioni. 

Infine, la condizione migliore per sopportare il dolore è il gioco, nel quale l’inutilità è una premessa, il tempo è reversibile e permette di tornare indietro ricominciando da capo, la morte è alleggerita dal sentimento del sogno, del “facciamo finta di”. L’abbondanza generosa dell’opus di quest’uomo speciale che non ha mai buttato via nulla, ma solo trasformato in incantesimo muovendo le sue mani sottili, lunghe e nodose ha il potere di piegare lo scorrere lineare del tempo in un girotondo. Non solo l’economia deve essere circolare, è la Terra e la Natura che si muovono per cicli, per allontanamenti e ritorni, apparizioni e scomparse: al centro, motori immobili, vivranno per sempre gli animi spogli e sorridenti come quello dell’immortale Emanuele Luzzati. Abbiamo dunque bisogno di lui, ancora oggi.

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